Abascal: nessuna paura dobbiamo vincere
Il Lugano è rientrato giovedì pomeriggio dalla trasferta di Neuchâtel. In mattinata la squadra aveva svolto a Macolin l’allenamento di scarico. Venerdì mattina i giocatori si sono ritrovati a Cornaredo (foto) per preparare la partita di domenica contro il Basilea (ore 16). Non ci sono da registrare infortuni: ancora non si sono allenati col gruppo Mihajlovic, Piccinocchi, Kecskes e Manicone. Al termine della seduta mister Abascal ha incontrato i giornalisti per l’appuntamento settimanale.
-Per sdrammatizzare: ti senti un po’ come a 18 anni prima dell’esame di maturità?
“No, mi sento normale. L’ho detto l’altro giorno, uno deve sapere con chi lavora, che tipo di gruppo ha a disposizione, dopo può succedere di tutto. Sono tranquillo perché dopo sei gare senza sconfitte (comprese le due di Coppa) sapevo che quella di mercoledì sarebbe stata una partita insidiosa, forse la più pericolosa in assoluto. Una gara che non avevi tempo di preparare. Lo Xamax fa poche cose ma quel poco lo fa bene, si conoscono e giocano assieme da tanto: noi abbiamo fatto fatica in fase difensiva. Avremmo dovuto attaccare con due punte e difendere con il 4-1-4-1. Gerndt però non riusciva a chiudere la fascia sinistra, di conseguenza Crnigoj andava in difficoltà così come Sabbatini e Covilo sempre in ritardo e tutto si è complicato per 45′. Ci siamo persi, siamo stati deboli nei duelli non ne abbiamo vinto uno, arrivavamo in ritardo sul pallone, non raddoppiavamo e abbiamo concesso molte occasioni. Se giochi in questo modo vai in difficoltà contro qualsiasi squadra anche con il Dietikon o gli Azzurri Losanna. Lo Xamax inoltre ha elementi con i piedi buoni ed è ovvio che vai sotto nel punteggio alla pausa.”
-E’ brutto che il presidente dica che non avete mai avuto gioco, è un po’ come una fidanzata che sta per lasciarti e ti dice che non ti ha mai amato?
“Ci sta. Il presidente Renzetti guarda il calcio da fuori e può dire ciò che vuole. Io seguo la squadra tutta la settimana, faccio un piano tattico per le partite e so esattamente cosa succede. A Neuchâtel abbiamo provato a cambiare le cose alla pausa e il secondo tempo lo abbiamo iniziato bene. Bottani ci permette sempre di giocare di più. Nel primo tempo con Janko in campo non siamo riusciti a crossargli un solo pallone utile. Sulla lavagna vincono tutti ma sul campo non abbiamo fatto bene specie nei primi 45 minuti. Se all’inizio avessimo segnato con l’occasione di Maric sicuramente la partita avrebbe preso un’altra piega. Ma anche nel secondo tempo, pur alzando il baricentro, negli ultimi trenta metri abbiamo sbagliato tutte le scelte: passaggi, movimenti e altro. Non eravamo lucidi perché evidentemente il gol preso e i primi 45′ buttati alle ortiche ci avevano fatto male, molto male. “
-Come spieghi che dopo dieci giorni di allenamenti e quando avevi avvertito che sarebbe stata una sfida difficile si entri in campo mentalmente non preparati?
“Non sono d’accordo, nei primi minuti abbiamo fatto le cose giuste, salvo un errore difensivo e l’azione del gol quando eravamo in tre difensori contro uno di loro. Ma sono errori, non è questione di preparazione del match. Yao nella ripresa ha vinto sette duelli e nel primo tempo no. E’ un problema dei singoli quindi. A San Gallo abbiamo subito due gol dalla fascia sinistra per incomprensioni tra Daprelà e Masciangelo. Può succedere: l’importante è capire che questi errori non possiamo ripeterli e che abbiamo perso una grossa opportunità di fare punti e di ottenere il settimo risultato utile consecutivo. Ora dobbiamo fare una buona partita, con una reazione importante e fare punti contro il Basilea. Lo sanno i giocatori e lo so io.”
-Per far sì che gli errori non si ripetano cosa bisogna fare?
“L’autocritica più importante l’abbiamo fatta ieri e oggi. Abbiamo parlato, tutti, cercando di capire dove stiano i problemi e come cercare di fare in modo che non si ripetano. Ci siamo concentrati anche su un aspetto: a Neuchâtel la squadra che ha cominciato la gara dal primo minuto era la più esperta che avrei potuto schierare. Eppure abbiamo fatto fatica per un’ora, poi quando vai sotto nel risultato, ti scopri, fai cose che non devi fare e cambia tutto il piano. A livello di esperienza non abbiamo gestito bene la partita, questa è la nostra conclusione.”
-Il presidente Renzetti ripete da un po’ che bisogna cambiare gioco. Sei disposto a variare il tuo gioco per salvare la panchina?
“Il mio gioco finora è una cosa, quello che abbiamo fatto sul campo è un’altra, quello che può pensare il presidente è ancora altro. Non cambierò mai la mia idea perché dopo dieci partite questa squadra nell’impostazione del gioco o nella rimessa del portiere non ha ancora perso un solo pallone né ha subito un gol. Quindi non c’è da cambiare il modo in cui voglio iniziare l’azione. Poi che abbia un giocatore con il piede buono e un altro no è una cosa che devo valutare io ma abbiamo anche un portiere con un buon calcio. Dobbiamo semmai mutare le situazioni nelle quali -come nelle ultime partite- abbiamo subito tanto, perché abbiamo abbassato l’intensità nei duelli. Ma questo non c’entra con gli schemi e le tattiche: è un fattore individuale, è una situazione di uno contro uno che se la vinci vai avanti e se la perdi attaccono gli altri. Nelle ultime tre gare abbiamo perso più duelli che gli avversari. E’ una questione di attenzione e concentrazione quando lotti individualmente. Ci sono mille modi di giocare a calcio ma l’idea di gioco che sto portando avanti mi sembra adeguata a questa rosa e giocando così abbiamo fatto nove punti e ne avremmo potuti fare anche qualcuno in più.”.
-Su Twitter ieri hai scritto “sono convinto del nostro lavoro”, ma credi che lo siano anche i giocatori, a Neuchâtel hai dovuto spesso parlare con l’uno o l’altro: non capiscono o non credono in quello che c piedi loro?
“Talvolta possono non capire una situazione, l’ho detto in precedenza. Oppure possono essere più pronti per la fase offensiva rispetto a quella difensiva. Non è che non vogliono: Gerndt ad esempio sa benissimo che è l’attaccante titolare del Lugano. Sa cosa deve fare, è un elemento valido e generoso e se continua ad allenarsi così sarà sempre l’attaccante titolare”.
-Spesso gli allenatori pagano anche il fatto che i giocatori non fanno quello che devono fare ma è più semplice licenziare il tecnico che non 30 atleti. In questo discorso quanto pensi di pagare il fatto che due elementi che potrebbero e dovrebbero fare la differenza, come Janko e Junior, finora abbiano deluso?
“E’ il calcio. Le aspettative ci sono per tutti, per il tecnico e per i giocatori. Quando sono arrivato lo scorso anno Janko non giocava e Junior aveva avuto un periodo di appannamento. Ma da quel giorno Carlinhos ha vissuto il miglior momento della stagione, mentre Marc è stato utilissimo per la salvezza con le prestazioni di Sion e in casa contro il San Gallo. Sono momenti: giudicare adesso su colpe e aspettative é sbagliato. Devo trovare la soluzione per farli ritornare importanti per la squadra. Non dubito di nessuno dei due. Janko è un professionista incredibile, vuole il bene del Lugano. Ha un tipo di gioco che ha bisogno di palle tese, ma se non riusciamo a mettergliene nemmeno una sulla testa cosa può fare? Non serve in campo se non gli arrivano palloni, ma non è colpa sua. Su Junior il discorso è diverso: la cosa più difficile nel calcio è il dribbling. Per riuscire devi essere in un momento mentale importante, devi avere fiducia in te stesso eccetera. Lui sa di aver sbagliato, è stato in panchina con lo Zurigo e la squadra ha vinto. Ma il dribbling non è una cosa che l’allenatore può imporre o insegnare, deve sentirlo il giocatore. E’ una cosa naturale, io come tecnico devo cercare che il pallone gli arrivi e che possa dribblare l’avversario. Dipende da lui, deve saltare l’uomo perché sa farlo. Altro caso Mattia Bottani: entra in campo e fa quattro o cinque dribbling, cosa gli manca? Il fisico, riprenderà, ma nell’uno contro uno c’è. Gerndt gioca perché fa salire la squadra, attacca la profondità, fa assist e fa il suo gioco. Il giorno che Junior tornerà a liberarsi dell’avversario giocherà di sicuro. Altro esempio: Vècsei, ha un tiro incredibile. Ma se su dieci occasioni in cui arriva sui sedici metri calcia una sola volta in porta: l’allenatore non c’entra. “
-Domenica quando entrerai e ti siederai in panchina cosa ti passerà per la testa?
“Quando entro penso: adesso l’arbitro fischia e si inizia la partita Lugano-Basilea. Come tutte le volte nei primi cinque minuti mi concentro sull’avversario per stabilire, assieme al mio assistente, se quello che avevamo preparato si sta concretizzando sul campo. Ripeto: non sono preoccupato so cosa comporta il lavoro che ho scelto. So che se i risultati non arrivano è più semplice, come dice Casolini, cacciare un allenatore piuttosto che tutti i giocatori. In un campionato ci sono 36 giornate. Prendiamo il Sion, ultimo in classifica, ha perso sei match però ha solo tre punti meno di noi. Se io esco battuto domenica, sarebbe la quarta sconfitta ma loro vincendo ci raggiungerebbero. Solo perché abbiamo buttato via la partita con il Gc che stavamo vincendo al 93′ e quella con lo Xamax ultimo. Poi puoi fare tutte le analisi del mondo ma i punti sono i punti. I giornalisti mi valuteranno in un modo e il presidente magari in un altro, perché questa è un’azienda e lui ha bisogno di certe cose. Le variabili tra il percorso di una squadra o l’altra possono variare ma alla fin fine se non faccio risultati mi possono mandare via anche la sera della partita o anche prima com’è successo a Jacobacci. Ogni allenatore può avere paura di perdere, ma questo sentimento deve rinforzarti. Essere sotto i riflettori è normale, quanti allenatori vorrebbero sedere al mio posto?. Le critiche mi rendono più forte, significa che devo lavorare maggiormente e migliorare. Altre persone possono viverle come una pressione eccessiva, io no. Ho giocato a calcio, facevo male perché non comprendevo mai cosa dovevo fare e allora ho deciso di fare l’allenatore. Quando giocavo, la responsabilità di una sconfitta era dell’allenatore e oggi so che è mia. Alla mia età l’unica cosa che posso fare è apprendere, ma se uno che fa questo mestiere ha paura e non ha un’idea propria si perde. Andrò a migliorare l’idea di gioco che ho, continuando a guardare calcio tutti i giorni, come faccio oggi. Le situazioni difficili ti aiutano a crescere.”
-Finalmente ti sei aperto un po’ e hai spiegato cosa provi e come ti senti.
“Guardate io a 13 anni giocavo nel Barcellona. Maggior pressione di quella che uno ha lì, quando poi è il più scarso della rosa, non ce l’ha nessuno. Tutti i giorni ero sotto pressione: dovevo non perdere il pallone e colpirlo bene. A 14 anni hai già un microfono davanti con la tv del Barcellona. A quell’età il lunedì seguivi tutti gli highlights di tutta la “Cantera” , ti vedevi accanto a Fabregas, Messi, Iago Falque e altri e ti dicevi ” cosa ho sbagliato, come sono scarso”. La pressione era già enorme, quando poi a 15 anni vai a giocare contro Real Madrid, Bayern Monaco eccetera, la pressione c’è, sia mediatica che psicologica, sia perché sei lontano dalla famiglia e devi gestirti. Ma quella da allenatore è una pressione che mi aiuta e mi fa crescere. E’ una fortuna essere qua e lavorare in Super League con Angelo Renzetti visto come vive e sente lui il calcio, come si arrabbia dopo le partite. Gestire queste situazioni mi fa ulteriormente crescere.”