Ludo Magnin (Ti-Press)

Ludo Magnin: “Un pezzo di cuore è sempre bianconero!”

di Fabio Degli Antoni

Girovagando per un centro convegni e seminari di Basilea in occasione di una riunione che coinvolge tutti gli speaker di Super e Challenge League, ad un certo punto vediamo passeggiare Alessandro Mangiarratti, Daniel Tarone, Murat Yakin e molti altri. Sembra un ritorno al passato, non senza brividi d’emozione. Con loro c’è anche Ludovic “Ludo” Magnin. Il gruppo di “veterani storici” del calcio rossocrociato è impegnato in uno degli ultimi corsi per aggiudicarsi il patentino UEFA, per poi diventare a tutti gli effetti allenatori professionisti. Capello biondo con ciuffo alla Tintin, faccia da furbo e sorriso simil Jim Carrey nel film The Mask. Ci chiede 5 minuti prima di rendersi disponibile ad un’intervista. Deve finire il caffè e…l’ammazza caffè.

Classe 1979, terzino, fisico ancor oggi asciutto ha iniziato la sua carriera da giocatore ad Echallens, con mamma e papà tutt’e due con un passato da giocatori. “Ovviamente, anche se il calcio femminile ha fatto passi da gigante raggiungendo livelli di tutto rispetto, calcisticamente il mio esempio è maschile, cioè mio padre”, sorride Ludo. Inizia con simpatia il nostro incontro con colui che oggi allena l’U21 dello Zurigo, squadra che milita in Prima Lega Promotion, dopo aver concluso la carriera (obbligato…) proprio vestendo la maglia della società presieduta da Ancillo Canepa. “Questo mestiere mi intriga molto”, sottolinea. Quando ho smesso di giocare ho pensato di proseguire facendo l’allenatore, strada che pensavo fosse qualcosa per dare seguito alla passione di tutta la mia vita: il calcio. Per ora confermo di aver fatto la giusta scelta, ormai da 5 anni. Vedere i ragazzi praticare i miei consigli e le mie idee concretizzandole bene mi gratifica molto. Io ho bisogno di essere contento della mia vita e di ciò che faccio. Per ora sono soddisfatto”.

Dopo Echallens sei passato ad Yverdon, quando la squadra era ancora in serie A. Poi, nel 2000, l’arrivo a Lugano, voluto fortissimamente da due persone: l’allenatore Roberto Morinini e il Presidente Helios Jermini. È stata quella la giusta scelta che ti ha permesso di fare passi da gigante nel calcio dei veri professionisti?

“Si, la scelta di venire in Ticino è stata quella più importante. Avevo già offerte dalla Bundesliga, ma non mi sentivo pronto a staccarmi così di netto dalla mia famiglia con la quale vivevo a 19 anni. Avevo anche un’offerta dal Grasshopper. L’offerta non era soddisfacente anche se sul piatto c’erano parecchi soldi senza garanzie di gioco e di crescita. Poi c’era il Lugano, con Morinini che mi ha raggiunto 3 volte a Yverdon per parlare e convincermi, dimostrandomi quanto tenesse a me come giocatore e come uomo. Ho scelto quest’ultima proposta, anche perché in bianconero c’erano già 5-6 romandi (Gaspoz, Rothenbühler, Bugnard, Lombardo e i francesi Taborda e Hoy n.d.r). La loro presenza è contata molto, anche perché non mi sarei sentito un pesce fuor d’acqua. È stato un passaggio molto importante poiché non ho imparato solo il calcio da vero professionista, ho avuto modo di costruire la mentalità grintosa che mi ha poi contraddistinto e insegnatami proprio dal mister. Senza dimenticare la crescita sul lato umano: ho fatto la scuola reclute in Ticino, è stata la mia prima esperienza fuori da casa. È stata insomma l’esperienza che mi ha fatto diventare uomo”.

Dopo l’esperienza in bianconero ha poi disputato sette stagioni in Bundesliga fra Werder Brema e Stoccarda –vincendo con entrambe le squadre il titolo– prima di chiudere la sua carriera a Zurigo…

“La fortuna che ho avuto è che in tutte le squadre in cui ho militato ho sempre trovato un ottimo ambiente. Penso di aver fatto sempre la scelta giusta al momento giusto, in un percorso graduale verso l’apice di una lunga e fantastica carriera. Sono poi approdato al Werder Brema, una società con un nucleo di persone nello staff molto famigliare. Ho imparato il tedesco e il ritmo della Bundesliga. A Stoccarda c’era molta più pressione data dagli sponsor e dalla “piazza”, oltre a obiettivi molto ambiziosi. Anche in questo frangente mi sono sentito pronto per questa esperienza”.

Nella sua carriera Magnin ha militato anche per una decina d’anni in Nazionale, totalizzando 3 reti in 63 partite, disputando due Europei (2004 e 2008) e un Mondiale (2006). Ma quali sono le differenze fra la “sua” Nazionale e quella attuale?

“Da quando sono allenatore ho imparato che non si possono fare paragoni. Ai miei tempi sia il gioco del calcio che gli avversari erano diversi. Eravamo un gruppo unito che faceva risultati grazie allo spirito e i duelli senza palla e in contropiede. Posso però affermare che la Nazionale di Petkovic è molto forte a livello tecnico, è abile a far girare la palla ed è un piacere vederla giocare. Noi eravamo invece molto bravi soprattutto nella fase difensiva, ben organizzati tatticamente e ogni match era una battaglia. Per ora, ciò che ci accomuna sono i risultati: oltre agli ottavi di Europei o Mondiali, per ora nessuna delle due Nazionali è andata oltre…”.

Che effetto ti fa vedere il Lugano ritornato ad alti livelli?

“Sono molto felice, anche perché questa società rimarrà sempre nel mio cuore. Mi auguro di rivedere ben presto i bianconeri giocarsi il titolo. Io allenatore del Lugano? Sono solo agli inizi della mia carriera di coach e ho chiaramente bisogno di tempo per accumulare esperienza. Il Lugano oggi è nelle mani di un bravo allenatore qual è Pier Tami, che stimo ed è una squadra tutto sommato con le carte per fare bene. Della stessa conosco bene Mariani. Se però un giorno dovesse presentarsi la possibilità sarei ben felice di poter chiudere il cerchio. Spero di vederlo lottare per il titolo. Com’era il mio Lugano. Colori bianconeri che porto sempre nel mio cuore”.

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